Foradori Azienda Agricola

La conoscenza dei ritmi e dei cicli della natura si è perfezionata nel tempo con l’osservazione: ogni stagione ci porta cose nuove, ogni giorno insegna e ci fa capire.

Abbiamo imparato a metterci in ascolto per cogliere le sottili differenze esistenti in natura, abbiamo imparato a preservare la sincerità del carattere dell’uva nell’espressione del suo luogo d’origine.

La nostra gestualità agricola si eleva così a creatività: abbiamo il compito e il privilegio di alzarci ogni mattino e di essere liberi di lavorare assecondando il messaggio che la terra ci vuole dare in quel momento.

Lavoriamo fra le montagne coltivando principalmente Teroldego e Pinot Grigio nei suoli alluvionali del Campo Rotaliano, Nosiola e Manzoni Bianco sulle colline argilloso-calcaree di Cognola.

Foradori è certificata Demeter e ICEA dal 2009, ma pratica agricoltura biodinamica dal 2002.

L’azienda è attualmente nel mezzo del quarto passaggio generazionale: dopo il recupero genetico dei ceppi genetici originari di Teroldego e la rivitalizzazione raggiunta da Elisabetta Foradori e Rainer Zierock, sono oggi Emilio, Theo e Myrtha Zierock i responsabili dell’evoluzione di Foradori.

Emilio gestisce gli aspetti della produzione vinicola, Theo si occupa degli aspetti gestionali e commerciali dell’ azienda, mentre Myrtha è incaricata della progressiva diversificazione agricola di Foradori.

Nella realtà dei fatti tutti e tre partecipano a tutti i processi con il costante supporto di Elisabetta.

Rainer ci ha lasciati nel Febbraio del 2009 ma oggi più che mai le sue idee guidano la nostra evoluzione.

Abbiamo cercato un luogo dove poter sviluppare un progetto agricolo completo e lo abbiamo trovato sotto le pendici del Monte Baldo a Sud del Trentino: nel 2018 un primo pezzo di terra a Tragno e poi, via via, altri nelle frazioni di Cazzano e Crosano.

Con pazienza cercheremo di capire questi luoghi e di far nascere un progetto che oltre al vino sviluppi una parte legata all’allevamento della Grigio Alpina e alla trasformazione del latte e una parte dedicata alla coltivazione degli ortaggi.

Viticoltura nelle Dolomiti

Disposti tra Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, i sistemi montuosi che compongono le Dolomiti, Patrimonio dell’Umanità, descrivono un paesaggio di straordinaria bellezza.

Un ambiente unico, dove l’eccezionale contesto naturale si fonde completamente con la storia degli uomini che hanno attraversato e vissuto queste montagne, e con quella di chi continua a farlo.

Un territorio di passaggio, porta tra il Mediterraneo e l’Europa continentale, ma anche luogo ammaliante, che da millenni ha condotto le comunità umane ad insediarsi nelle valli, protette dall’abbraccio delle vette e costantemente stimolate dalla spinta vitale della loro vertiginosa verticalità.

Sviluppatasi soprattutto in area trentina e altoatesina, anche l’antica cultura della vite e del vino prende quindi delle sfumature uniche, riflessi di uomini e montagne, cangianti come la luce che vi batte nelle varie ore del giorno, nelle diverse stagioni.

È attorno al X secolo che comincia a svilupparsi una produzione vinicola di qualità – supportata dalla Chiesa e dal commercio con l’Europa centrale – e a disegnarsi la rivalità mai risolta tra l’area trentina e quella altoatesina: vini apprezzati nelle corti e narrati dai viaggiatori, espressioni straordinarie di genti e territori.

Il Campo Rotaliano

Al confine tra Trentino e Alto Adige, il Campo Rotaliano è la pianura alluvionale formata dal torrente Noce prima dell’affluenza nell’Adige: un triangolo di quattrocento ettari, circondato da possenti pareti rocciose.

Nodo di comunicazione fondamentale in epoca romana, il territorio del Mezo (da medium, pianura) è stato da sempre zona di transito di merci e viaggiatori, ma anche punto di contatto tra culture e genti profondamente diverse tra loro, vivo della pulsante ricchezza che solo la varietà del confronto può determinare. 

Il Noce ne ha disegnato la geografia, portando a valle rocce diverse dalle tante montagne che sfiora, e dividendo naturalmente la piana in due aree distinte, con i rispettivi castelli e i borghi sottostanti: due ville, i cui governi si sono susseguiti sotto l’influenza del Principato vescovile di Trento e dei Conti del Tirolo, e divenute poi le attuali Mezzolombardo e Mezzocorona. 

Nonostante le frequenti e devastanti piene del torrente, il valore di queste terre per la viticoltura era ben noto già nel Medioevo: un terreno sciolto e magro, con una straordinaria capacità di drenaggio delle precipitazioni; così simile a quello dei pendii, ma allo stesso tempo protetto dalle montagne, che mitigano l’ambiente con la loro azione di riverbero del calore solare. 

Nel 1231 un documento attesta l’eccellenza dei vigneti dell’area di Mezzolombardo, mentre nel Cinquecento si parla finalmente del Teroldego, una produzione che si è consolidata nel corso dei secoli, divenendo elemento centrale nella definizione del paesaggio, dell’economia e della società stessa della Piana Rotaliana, espressione pura del territorio. 

Per arrivare alla morfologia attuale è necessario però attendere metà Ottocento, quando l’alveo del Noce viene regimentato e deviato a Sud e la zona finalmente liberata dalla minaccia delle alluvioni. La terra, poca e preziosa, si rivela allora nella sua complessità, cambiando totalmente natura a seconda della distanza dall’antico letto del fiume.

Fontanasanta

La collina a Est di Trento rappresenta un contesto particolare, dove il paesaggio agricolo si mescola a quello boschivo e alle residenze, in un delicato equilibrio tra spazio antropizzato e naturale. 

La villa Fontanasanta, il cui nome deriverebbe dal rio Salùga (da ‘Santa aga’, acqua santa) che vi scorre accanto, domina la città circondata da bosco e vigneti, mentre alle sue spalle, ben esposta a sud, una piccola valle sale fino alla spianata di Martignano. 

Riserva di caccia da metà Cinquecento, nel 1815 la tenuta diviene sede della splendida villa in stile impero costruita per volere del Conte Simone Consolati, Console nella Trento del Principe Vescovo Thun e appartenente ad una famiglia che nel corso dei secoli ha avuto un ruolo centrale nella vita politica della città. 

Il punto di rottura arriva con il primo conflitto mondiale, un momento estremamente drammatico per la zona, posta esattamente sul confine: la popolazione viene evacuata a forza, e tutto il territorio subisce pesanti devastazioni. Fontanasanta, profondamente danneggiata, viene però riscattata dal marito di Annunziata Consolati, Carl Von Lutterotti, che fa piantare frutteti e vigneti, definendo così le basi dell’odierno assetto agricolo della proprietà. 

Oggi il vociare delle feste ottocentesche lascia spazio al silenzio, protagonista assoluto, mosso solamente dai rumori del bosco, onnipresente nell’abbracciare i vigneti, e dall’acqua che scorre in piccoli ruscelli. 

La terra, rossa di argilla e bianca di calcare, torna finalmente ad essere produttiva: suolo ideale per Incrocio Manzoni e Nosiola, assieme al contesto ambientale unico diventa terreno perfetto per due vitigni dalle radici così profondamente legate a questo territorio e alla sua storia.